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Per proteggere il suolo e nutrire il Pianeta la soluzione è l'agroecologia

Per proteggere il suolo e nutrire il Pianeta la soluzione è l'agroecologia
(reuters)
In occasione della Giornata mondiale del suolo, il 5 dicembre, è indispensabile riflettere sui danni dell'intensificazione produttiva senza strategia. Si sfameranno gli 8miliardi di abitanti della Terra solo con un modello agricolo rispettoso degli ecosistemi
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Tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile di Agenda 2030 si legge anche della necessità di “combattere la desertificazione, ripristinare i terreni degradati e il suolo”. Quindi, a pieno titolo, il suolo entra negli obiettivi di sostenibilità del Pianeta evidenziando in modo inequivocabile la necessità di un percorso di rigenerazione radicale. Che però non vediamo così diffusa.
 

Eppure, oggi la parola sostenibilità prende sempre strade troppo diversificate e assai spesso lontane dal rispetto per le risorse naturali e per le future generazioni. Basti pensare agli impegni attuali verso una direttiva Ue sull’uso ‘sostenibile’ dei pesticidi, alla presunzione umana sul tema dell’innovazione varietale tramite Nbt e ogm con qualcuno che ne sostiene l’importanza per un’agricoltura più ‘sostenibile’, fino, addirittura, a chi continua a dire che l’uso del glifosate sia uno strumento per rafforzare la ‘sostenibilità’. E sono soltanto alcuni esempi. Siamo molto stanchi di fronte a tutta questa miopia, dettata indubbiamente da una sudditanza rispetto a un modello agricolo che non regge e che si sta aggrappando a ogni tentativo per rimanere foraggiato economicamente dalle politiche agricole globali.

Mentre si continua a discutere, i suoli del Pianeta stanno progressivamente morendo, aridi e desertificati. L’ultimo rapporto internazionale sulla desertificazione mostra che il 75% dei suoli nel mondo sono affetti da una progressiva degradazione, evidentemente più spinta laddove l’agroindustria ha trovato maggiore sviluppo. Produzione agricola industriale, zootecnia intensiva, uso smodato della chimica di sintesi, perdita di controllo degli equilibri ecosistemici, sono tra le più significative ragioni della degradazione che procede velocemente verso una vera desertificazione. Moltissimi lavori scientifici dimostrano che l’uso di pesticidi, erbicidi e spinta meccanizzazione contribuiscono in modo significativo all’alterazione dell’ecosistema suolo. Uno studio applicato in molti paesi dell’Ue ha evidenziato come l’80% dei suoli analizzati contenga residui di pesticidi, spesso a elevata persistenza. Le soglie di tolleranza di ciascun pesticida, peraltro, non contemplano l’effetto combinato di più residui rendendo tutto sempre meno sopportabile.

Non basta più, quindi, parlare della necessità di arresto del consumo di suolo causato dalla cementificazione, anche se in Italia è quanto mai urgente. Dobbiamo guardare anche ai suoli agrari devastati per anni di intensificazione produttiva senza strategia, finalizzata solo alla massimizzazione del profitto. Il suolo è il primo tassello dell’ecosistema a pagare un prezzo altissimo attraverso la rottura di tutti gli equilibri che definiscono la straordinaria rete alla base della fertilità e che giocano un ruolo ecologico impareggiabile ma troppo spesso trascurato. Forse perché sta tutto sottoterra, non lo vediamo e pensiamo che non esista, che non sia importante, che possa essere calpestato in ogni senso.
 

La straordinaria capacità di sequestrare il carbonio di un prato permanente polifita, infatti, sottolinea oggi ancor di più l’importanza che il suolo può rivestire anche in un’ottica di contrasto al cambiamento climatico. Se non ci convinciamo, però, che i primi a mettersi in gioco dobbiamo essere noi cittadini nella nostra quotidianità, non riusciremo mai a operare un cambiamento solo sfruttando la natura che abbiamo già messo in seria crisi. E invece insistiamo a pensare che possiamo continuare a dominare ogni fenomeno. Pensiamo anche che possiamo produrre senza suolo, risolvendo quasi il problema della sua diffusa degradazione che determina una ridotta funzionalità agricola. Pensiamo che basti la tecnologia per superare gli effetti della nostra inerzia, che i nostri orti possano essere trasferiti dentro un capannone con sistemi idroponici o che possiamo continuare a destagionalizzare molti prodotti coltivandoli fuori suolo nelle serre devastate da anni di chimica di sintesi.
 

A livello globale abbiamo perso qualsiasi visione e continuiamo a guardare ai nostri piedi senza sapere che fra poco non potremo più fare alcun passo costruttivo.

Abbiamo avuto una scienziata internazionale in Italia, Concetta Vazzana, scomparsa qualche giorno fa, che ha insegnato a diverse generazioni di studenti, tecnici, semplici cittadini, il valore del modello agroecologico, del fare agricoltura rispettando le risorse naturali e gli equilibri ecosistemici. Lo ha fatto con il convincimento che solo la disseminazione di questo approccio può dare un futuro al nostro pianeta, a cominciare dalla conservazione del suolo quale servizio ecosistemico determinante per la sopravvivenza di ogni essere vivente, non solo dell’uomo.
 

Agroecologia quale modello di sviluppo e non di arretratezza, come qualcuno vorrebbe far credere; agroecologia quale strumento di crescita di un sistema agricolo funzionale ed efficace per nutrire gli otto miliardi di abitanti del pianeta, con equilibrio ambientale e rispetto delle risorse che non sono infinite. Il tutto a partire dal suolo che contiene al proprio interno il potenziale agricolo che dobbiamo saper usare in modo armonico e senza violenza.
 

La giornata mondiale sul suolo non può dunque trovare temi così distanti dalla giornata mondiale sulla desertificazione e sulla siccità celebrata alcuni mesi fa, perché qualsiasi centimetro di suolo oggi si dovesse continuare a perdere significherebbe un centimetro in più di deserto e un centimetro in meno di risorsa per la nostra vita sul pianeta. Se non sappiamo farlo per l’equilibrio degli ecosistemi naturali, proviamo a farlo per pura sopravvivenza.
 

(*Francesco Sottile, Slow Food)